Io e i fiori di Bach

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Cerco di scorgere il sapore migliore delle 4 goccioline che prendo soprattutto in momenti brutti.

E’ quasi una sfida al non sentire l’amaro del Brandy. E’ composto da tanti sapori, quasi indistinguibili per me ora. Chissà se riuscirò mai a sentirli, chissà se allora starò meglio.

Intanto mi distraggo testando le mie papille e per qualche minuto la mente è altrove, quasi libera, sgombra.

Dovrei esser più regolare nell’assunzione dei fiori, almeno così mi hanno consigliato. Ed in effetti nella mia attuale giornata-tipo, costellata da momenti di euforia e spensieratezza affiancati ad ansia, stanchezza e tristezza, potrebbero davvero diventare piccole isole di riflessione.

Forse non importa quello che sta dentro questa boccetta ma cosa sta dentro di me. Forse non importa quando prendi le gocce ma cosa fai prendendole.

Molte persone guariscono bevendo acqua e pensando sia medicina.

“Basta” sognare: breve lettera di una vicina di casa.

“Innanzitutto esprimo gratitudine a coloro che hanno permesso la pubblicazione di queste poche righe, semplici ma sentite. Tenterò, brevemente, di esprimere ciò che da tempo volevo condividere. L’oggetto dei miei sogni è la mia città, ciò che di essa non si vede! Sulla scia del progetto promosso dall’architetto Renzo Piano, colgo l’occasione per dare voce ai luoghi che sentiamo nostri ma che spesso non riconosciamo come tali.

Nichelino, considerata per anni città dormitorio, ultimamente ha tentato di “risvegliarsi” promuovendo centri culturali attivi, basti pensare alla Biblioteca Civica Arpino e al Teatro Superga, luoghi che ne hanno permesso la piena valorizzazione.

Nonostante il grande sforzo di alcuni personaggi politici nel voler dare un nuovo colore alla nostra città, alcuni luoghi, tutto oggi, sono abbandonati a sè. Frequenti sono le zone dove numerosi gruppi di giovani cittadini si riuniscono e giacciono senza un obiettivo preciso, si sentono artisti scrivendo “poesie” indecenti sui muri e abbozzano disegni provocatori di ogni genere. Ma quei ragazzi sono i nostri ragazzi che semplicemente non sono stati abituati a riflettere sulla bellezza della città e dei luoghi che li circondano. Ma nulla è perduto, non smarriamo anche noi il senso della nostra vita! La mia piazza (Piazza Modigliani) è la realtà appena escritta. Spesso mi è capitato di osservare dal mio cortile alcuni signori che con semplicità e umiltà cercano di ridare dignità al portone sotto casa, pulendo i marciapiedi lasciati imbrattati la sera prima dai quei ragazzini.

Io e la mia giovane vicina di casa, una ragazza poco più che ventenne, immaginando una piazza migliore, abbiamo creduto che fosse necessario non continuare solo a sognare.

Così desideriamo tirarci su le maniche riverniciando i muri, ripristinando le fioriere e provando a coinvolgere, anche solo con lo sguardo, quei ragazzi che poi in fondo, ripeto sono i nostri. Abbiamo pensato che dimostrare il bello, il pulito e il rispetto sia l’obiettivo di ogni cittadino. Ognuno ha il dovere di pensare che ciò che è pubblico sia di tutti e che l’unione arricchisce e fortifica lo spirito.

Nella speranza che si sblocchi ciò che appare macchinoso, ci auguriamo che Piazza Modigliani possa rappresentare il trampolino di lancio per la nostra Nichelino e che ognuno senta il bisogno di voler fare un po’ di più per il bene di tutti.

E ricordiamo che, da una piccola ma solidale rete ne può nascere una sempre più attiva e partecipata, solo se non smettiamo mai di sognare che la rete siamo noi!”

Questa è la breve lettera scritta dalla mia vicina di casa Silvana, la quale una sera di circa due mesi fa mi ha proposto questa bellissima idea: facciamo tornare il quartiere come ai tempi d’oro.

Il 3 Maggio potremo finalmente  realizzare questo piccolo sogno grazie alla manifestazione Ricuciamo gli spazi ispirata al progetto di Renzo Piano, dal quale tutto è partito.

Ci teniamo a sottolineare che la manifestazione, sebbene sia inserita in un contesto politico, è partita da una casa e due teste autonome, due cittadine. Per questo invitiamo la popolazione che si reputa “attiva” a partecipare a questo gesto simbolico, per far vedere che la bellezza e la collaborazione giova a tutti.

La manifestazione

Sabato verranno prima di tutto pitturate le fioriere e piantati i fiori sulla nostra piazza, in segno di cura, bellezza e decoro. Inoltre ci saranno tante attività come ad esempio “Il quartiere che vorrei” per i bimbi, musica, giorchi etc. per la riappropriazione della mentalità comunitaria nel nostro quartiere.

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 Dopo Manifestazione

E’ intenzione di alcuni abitanti di Piazza Modigliani prendere in mano i rulli e  ripulire i muri oltraggiati negli anni.
 RICORDIAMO che quest’attività è scollegata dalla manifestazione e da ogni  partecipazione politica.

 

 RENZO PIANO

 “Le periferie sono la città che non sa di esserlo“,  dice Piano, ma specularmente si  potrebbe quindi affermare che questo modo di porre la questione indica  l’inconsapevolezza di quanto sia vero il contrario, che da oltre un secolo a questa parte l’espansione urbana ha fatto diventare ciò che non appartiene al centro storico la parte preponderante delle città.

«Anche in Australia e in America incominciano a chiedermi di compiere questa operazione, ora che hanno un paio di secoli di storia urbanistica alle spalle. Trent´anni fa intellettuali fini dell´ambientalismo come Mario Fazio ci suggerivano di recuperare i centri storici. Sfida raccolta e vinta. Oggi dobbiamo salvare le periferie. Dalle banlieue parigine, alle favelas del terzo mondo, ai nostri quartieri dormitorio sulle colline di Genova, come nei sobborghi romani».

E sui nuovi appalti Piano aggiunge: «Bisogna smettere di costruire, di diffondere il brutto per poi chiamarlo trash. Finisce che poi il trash urbanistico passa quasi per bello, basta che ogni tanto ci si metta in mezzo quella che gli inglesi chiamano perfidamente l´aringa rossa, magari un bel grattacielo svettante sul quartiere spazzatura. Anche Milano non deve esplodere con nuovi quartieri selvaggi, ma implodere su quanto già c´è. Le periferie sono brutte, senza qualità diffusa, perché non ci hanno costruito le condizioni della vera vita vissuta, che non si crea solo con case e negozi. Ci vuole tutto il resto, a incominciare dal verde, dalle scuole, dagli impianti sportivi, dalle librerie, dai giardini».

Ed è Da qui che Noi vogliamo ripartire.

To be continued…

 

Lavinia

 

 

 

Un drago nel mio garage.

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«Nel mio garage c’è un drago che sputa fuoco». Supponiamo (sto seguendo un approccio di terapia di gruppo praticato dallo psicologo Richard Franklin) che io vi dica seriamente una cosa del genere. Senza dubbio voi vorreste verificarla, vedere il drago con i vostri occhi. Nel corso dei secoli ci sono state innumerevoli storie di draghi, ma nessuna vera prova. Che opportunità fantastica!

«Ce lo mostri», mi dite. Vi conduco nel mio garage. Voi guardate e vedete una scala, dei barattoli vuoti, un vecchio triciclo, ma nessun drago. «Dov’è il drago?» chiedete. «Ah, è proprio qui», vi rispondo, facendo dei cenni vaghi. «Dimenticavo di dirvi che è un drago invisibile». Voi proponete di spargere della farina sul pavimento del garage per renderne visibili le orme. «Buona idea», dico io,«ma questo è un drago che si libra in aria». Allora proponete di usare dei sensori infrarossi per scoprire il suo fuoco invisibile. «Idea eccellente, se non fosse che il fuoco invisibile è anche privo di calore». Voi proponete allora di dipingere il drago con della vernice spray per renderlo visibile.

«Purtroppo, però, è un drago incorporeo e la vernice non fa presa su di lui». E così via. A ogni prova fisica che voi proponete, io ribatto adducendo una speciale spiegazione del perché essa non funzionerà.

Ora, qual è la differenza fra un drago volante invisibile, incorporeo, che sputa un fuoco privo di calore e un drago inesistente? Che senso ha la mia asserzione dell’esistenza del drago se non esiste alcun modo per invalidarla, alcun esperimento concepibile per confutarla? Il fatto che non si possa dimostrare che la mia ipotesi è falsa non equivale certo a dimostrare che è vera. Le affermazioni che non possono essere sottoposte al test dell’esperienza, le asserzioni non «falsificabili», non hanno alcun valore di verità, per quanto possano ispirarci o stimolare il nostro senso del meraviglioso. Quello che io vi chiedo, dicendovi che nel mio garage c’è un drago, è in pratica di credermi sulla parola, in assenza di alcuna prova.

L’unica cosa che voi avete realmente appreso dalla mia affermazione che nel mio garage c’è un drago è che c’è qualcosa di strano nella mia testa. In assenza di alcuna prova fisica, voi vi chiederete che cosa mi abbia convinto. Penserete certamente alla possibilità che io abbia fatto un sogno o abbia avuto un’allucinazione. Ma allora, perché sto prendendo tanto sul serio la mia idea? Forse ho bisogno di aiuto. Come minimo, può darsi che io abbia gravemente sottovalutato la fallibilità umana.

Immaginiamo che, benché nessuno dei test dia esito positivo, voi vogliate rimanere scrupolosamente aperti a qualsiasi possibilità. Perciò non rifiutate decisamente la nozione che nel mio garage ci sia un drago che sputa fiamme, ma adottate semplicemente una posizione di attesa sospendendo il giudizio. Le prove esistenti sono fortemente contrarie all’ipotesi del drago, ma se ne emergeranno altre voi siete pronti a esaminarle e a vedere se vi convincono. Senza dubbio non sarebbe bello se io mi offendessi perché non mi credete; o se vi criticassi accusandovi di essere noiosi e privi di immaginazione, semplicemente per avere espresso il giudizio di «non dimostrato».

Immaginiamo che il responso dell’esperienza fosse stato diverso. Il drago è invisibile, va bene, ma lascia delle impronte sulla farina. Il rivelatore nell’infrarosso segnala che esso emana calore. La vernice spray permette di vedere una cresta dentellata che danza in aria. Per quanto scettici possiate essere stati in precedenza sull’esistenza dei draghi – per non parlare dei draghi invisibili – ora dovete riconoscere che qui c’è qualcosa e che ciò che si osserva sembra conciliarsi con un drago invisibile che sputa fuoco.

Consideriamo ora un altro scenario. Supponiamo che a sostenere la strana idea dell’esistenza dei draghi non ci sia solo io. Supponiamo che anche vari altri vostri conoscenti – tra cui persone che non si conoscono certamente fra loro – vi dicano di avere dei draghi nei loro garage, ma che in ogni caso le prove siano terribilmente elusive. Tutti noi ammettiamo che ci dà fastidio dover credere a una convinzione tanto strana e così mal sostenuta da prove fisiche. Nessuno di noi è pazzo. Noi ci chiediamo che senso avrebbe se in tutto il mondo dei draghi invisibili fossero effettivamente nascosti nei nostri garage, con tutti noi a crederci. Io penso che non sia così. Ma se tutti quei miti antichi dell’Europa e della Cina, dopo tutto, non fossero solo dei miti…

Meno male che adesso c’è chi dice di aver visto delle impronte nella farina. Quelle impronte, però, non si producono mai alla presenza di persone scettiche. Si presenta allora una spiegazione alternativa: a un attento esame appare chiaro che le orme potrebbero essere una contraffazione. Un altro entusiasta dei draghi si presenta con un dito bruciato e lo attribuisce a una rara manifestazione fisica del respiro infuocato del drago. Anche questa volta, però, ci sono altre possibilità. È chiaro che per scottarsi le dita non occorre esporle all’alito infuocato di un drago invisibile. Tali «prove» – per quanto importanti possano considerarle i fautori dei draghi – non sono affatto conclusive. Ancora una volta, l’unico approccio ragionevole consiste nel rifiutare provvisoriamente l’ipotesi dei draghi, nell’essere disponibili a valutare futuri dati fisici che dovessero presentarsi, e nel chiedersi per quale motivo un così gran numero di persone sobrie e sane di mente condividano la stessa strana illusione.

Grazie ad un amico ho scoperto questo fantastico libro: Il mondo infestato dai demoni. La scienza e il nuovo oscurantismo  di Carl Sagan.

Subito, leggendo il testo che vi ripropongo qui sotto, ho pensato a tutte quelle volte che cerco di capire le strane fantasie della gente riguardo alcune teorie scientifiche. Ecco, io mi sento come colui che vuole vedere il drago, ma tante volte non ci riesco. Per condividere una teoria devo avere delle prove oltre a testimonianze. Questo anche per dire in breve come la penso su Stamina (l’articolo specifico sarà per un’altra volta 😉 ).

Alice al di là dello specchio: un altro mondo possibile.

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<<Ora, se soltanto tu mi stai a sentire, Kitty, e non chiacchieri tanto, ti dirò tute le mie idee sulla Casa dello Specchio.Prima di tutto, c’è la stanza che vedi attraverso lo specchio, che è proprio uguale al nostro salotto, solo le cose stanno tutte alla rovescia. Io la posso vedere tutta se mi arrampico su una sedia, tutta tranne quel pezzettino proprio dietro il caminetto. Oh! Vorrei tanto poter vedere anche quel pezzetto! Desidero tanto sapere se hanno il fuoco in inverno: non si può mai dire, lo sai, a meno che il nostro fuoco non faccia fumo, e allora il fumo sale anche in quella stanza, ma può anche essere solo una finzione, proprio per far sembrare come se il fuoco ci fosse. Bene, dunque, i libri sono molto simili ai nostri, solo le parole sono scritte alla rovescia; lo so, perchè ho tenuto un libro davanti allo specchio, e ne hanno tirato su uno anche nell’altra stanza.

Ti piacerebbe abitare nella Casa dello Specchio, Kitty? Mi domando se li ti darebbero il latte! forse il latte dello specchio non è buono da bere, ma, oh! Kitty! Ora ce ne andiamo nel corridoio. Puoi vedere a malapena uno spiraglio del corridoio nella Casa dello Specchio, se lasci la porta del nostro salotto proprio spalancata: e somiglia molto al nostro corridoio per quel che si può vedere, soltanto, sai, più in la potrebbe esser completamente diverso. Oh! Kitty! Come sarebbe carino se soltanto potessimo entrare nella Casa dello Specchio. Sono sicura che ci sono tante cose belle lì! Facciamo finta che ci sia una maniera di entrarci in qualche modo, Kitty! Facciamo finta che lo specchio sia diventato morbido come un velo, in modo che ci si possa passare attraverso. Ecco, sta diventando una specie di nebbia adesso, dico io! Sarà abbastanza facile attraversarlo>>. Nel dir questo si era arrampicata sulla mensola del caminetto, benchè neppure lei sapesse come ci fosse arrivata. E certamente il vetro stava cominciando a sciogliersi, proprio come una splendente nebbia argentea. 

Ancora un attimo, e Alice aveva attraversato il vetro, ed era balzata con leggerezza giù nella stanza dello Specchio. La prima cosa che fece fu di guardare se c’era il fuoco nel caminetto, e fu molto soddisfatta di trovare che c’era un vero fuoco, che fiammeggiava proprio splendente come quello che aveva lasciato nel salotto. “Così qui starò calda proprio come se fossi nella vecchia stanza”, pensò Alice, “anzi, più calda, perchè qua dentro non ci sarà nessuno a sgridarmi perchè stia lontana dal fuoco. Oh, che bello scherzo, quando mi vedranno qui attraverso lo specchio e non potranno raggiungermi”. 

Poi cominciò a guardarsi intorno e notò che quello che si poteva vedere dalla vecchia stanza era assolutamente comune e privo d’interesse, ma che tutto il resto era quanto mai diverso.

Commentando il passo tratto da Lewis Carroll, Alice, introduzione e note Martin Gardner sottolineava che le particelle e antiparticelle (particelle di carica di segno opposto) si possono considerare forme di riflesso speculare di una medesima struttura. Il latte dello specchio consisterebbe nell’antimateria, e Alice non potrebbe mai berlo! Ma una anti-Alice dalla parte dello specchio si.  Quando Alice osserva che «forse il latte dello Specchio non è buono da bere» per la sua gatta ha ragione, perché l’acido lattico si può presentare in due forme: levogira (quella che si produce in grandi quantità durante un intenso e prolungato sforzo muscolare) e in forma destrogira. Per questo si ha pensato che Carroll, forse informato dal suo amico chimico Augustus Vernon Harcourt, fosse al corrente delle ricerche del tedesco Johannes Wislicenus, uno dei pionieri della stereochimica. Ma questa è solo una piccola precisazione, perchè la fantasia di Carroll sembrerebbe anticipare una delle maggiori conquiste fisiche del ‘900. L’antimateria era poi stata intuita in via puramente speculativa da Dirac. Come diceva Blake “quello che oggi data per dimostrato prima è stato solamente immaginato” ed infatti Dirac “lasciandosi guidare da considerazioni di bellezza matematica” ipotizzo l’esistenza del positrone (inverso dell’elettrone). Ma d’altra parte i fisici si trovavano di fronte una mente veramente particolare, una delle più famose risposte è quella data a Wolfgang Pauli durante un viaggio in  treno attraverso la campagna britannica: alla considerazione <<Guarda come sono ben tosate quelle pecore>> Dirac rispose <<si, almeno dal lato che noi vediamo>>. La genialità lo portò poi al Nobel per la Fisica nel 1933, insieme al collega Erwin Schroedinger, con la scoperta delle equazioni che descrivono gli elettroni relativistici.

Ma la riflessione che voglio proporvi è:

Il mondo al di là dello specchio sarebbe davvero ordinario per noi?

Beh, dal punto di vista umano, oltre ad avere il cuore a destra e non a sinistra, avremmo grosse difficoltà a leggere il libro di Alice, avremmo problemi a sintetizzare alcuni tipi di molecole (che tengono conto della destra e della sinistra), vedremmo conchiglie sinistrorse e così via.
Per quanto riguarda la fisica, invece, l’essere a destra o sinistra, l’essere in basso o in alto è solo questione di convenzioni. Potremmo dunque supporre che le leggi della natura sarebbero totalmente invarianti dall’altra parte dello specchio. Il camino nella stanza funzionerebbe esattamente come quello di Alice, insomma, come tutti i fenomeni di meccanica classica e elettromagnetici.

Viviamo quindi in un mondo leggermente più complesso di quello descritto da Carroll, ma d’altra parte nella nostra vita quotidiana c’è anche un pizzico di fantasia, e non c’è motivo di non credere che un mondo al di là dello specchio posa andarci altrettanto bene se non meglio sotto punti di vita prettamente morali (fregandocene del fatto che il latte sarà imbevibile!).

Il 27 Gennaio e la nostra piccola parte nella banalità del male.

Nel 1961 Hanna Arendt segui come inviata del settimanale New Yorker le 120 sedute a Gerusalemme riguardanti il processo ad Adolf Eichmann, responsabile della sezione IV-B-4, come competente sugli affari ebrei, all’ufficio centrale del Reich. Sia chiaro che Eichmann non ricoprì mai un grado più alto del tenente-colonnello ma aveva evidentemente svolto un ruolo molto importante a livello europeo: Aveva coordinato i trasferimenti ebrei verso i campi di concentramento.
Catuttrato nel maggio del 1960 in Argentina l’uomo tenne a precisare che dopo tutto lui si era occupato solo di “trasporti”.

Eichmann venne condannato a morte mediante impiccagione il 15 dicembre 1961.

Nel 1963 venne pubblicato La banalità del male, dove Hanna analizza le modalità in cui la facoltà di pensiero può evitare le azioni malvagie, accentuando la capacità di distinguere tra giusto e sbagliato, la facoltà di giudizio e le implicazioni morali derivanti. 

La cosa incredibile che sostiene la Arendt sin dai suoi primi scritti è che “le azioni erano mostruose, ma chi le fece era pressoché normale, ne demoniaco ne mostruoso”. Insomma, quello che colpì l’autrice fu l’apparenza: un uomo comune, caratterizzato dalla sua superficialità e mediocrità che lasciano perplessità nel considerare il male commesso da lui, l’organizzare la deportazione di milioni di ebrei. La cosa peggiore però, forse, è il fatto che non si trattasse di stupidità ma di qualcosa di completamente negativo: l’incapacità di pensare. Eichmann, infatti, aveva sempre agito all’interno dei ristretti limiti consentiti dalle leggi di allora, una cieca obbedienza agli ordini che lo portarono a commettere, insieme a molti altri, i crimini peggiori.

Il guaio di questo caso così famoso era che di uomini come lui ce n’erano tanti e che quei tanti non erano né perversi né sadici, bensì erano, e sono tuttora, terribilmente normali. E questa normalità è più spaventosa di tutte le atrocità messe insieme, poiché implica, come fu ripetuto Norimberga da imputati e dai patroni, che questo nuovo tipo di criminale “commette i suoi crimini in circostanze che quasi gli impediscono di accorgersi o di sentire che agisce male “!

In questo senso la Arendt si domanda se la dimensione di male è una condizione necessaria di “fare il male”.

“Il fenomeno del male ha necessariamente una radice desiderata?” 

Bene, io credo sia questo uno dei tanti scopi del 27 Gennaio, Giorno della Memoria, quello di capire se anche ciò che non si considera “male” non lo è realmente.

Oggi più che mai viviamo in una società che rispecchia perfettamente la concezione di male di Hanna, quella che non si pensa, quella che non induce colpa e non affligge il colpevole. Una piccola/grande sorta di ipocrisia che sembra non sradicabile, impossibile da anientare. Basti pensare a tutte quelle persone che non si fermano davanti ad un’anziana in difficoltà nell’attraversare la strada, o davanti ad un quarantenne appena caduto dalla bici. Tutte quelle persone che pur di non lasciare il posto alla signora incinta sul pullman si girano dall’altra parte a guardare il finestrino.

Potrei andare avanti così in un elenco infinito anche più lungo di tutto il resto dell’articolo, ma la sostanza è che questa banalità del male è vera anche nelle piccole cose, e se la giornata della memoria vi sembra ipocrita per qualche motivo, cercate almeno di pensare a ciò che nel vostro piccolo può aver la definizione di Hanna Arendt.

Lavinia

L’ignoranza ai tempi di Internet: breve pensiero sulle infinite vie della disinformazione.

E’ innegabile il fatto che l’era di internet  ha portato tanti fattori positivi quanti negativi. Da una parte troviamo l’estrema facilità di comunicazione, il collegamento continuo con il mondo e la facilità di ricavare informazioni di ogni genere senza doversi per forza alzare dalla scrivania ed andare a sfogliare un’enciclopedia, dall’altra la continua “ansia” di esser osservato, controllato e la probabilità di attingere a informazioni sbagliate o solo in parte giuste a causa della condivisione di link non sempre verificati.

Mi ricordo come fosse ieri che uno dei primi siti aperti sul mio nuovo (ormai defunto) computer con Windows ’98 era Wikipedia, l’enciclopedia online libera nata nel 2001. Chiunque abbia fatto il liceo dall’avvento di internet a oggi sarà di sicuro grato alla Wikipedia Foundation poichè per qualunque dubbio sull’autore latino sconosciuto, piuttosto che il metodo matematico più complesso, la parola italiana così strana sul libro di letteratura o il microbo spiegato non troppo bene sul libro di scienze poteva esser chiarito in poche righe dal famoso sito ricco di ogni informazione utile.

Ma chi scrive questa infinita fonte di sapere? la può scrivere ognuno di noi. Tutti possono collaborare al suo arricchimento.

Purtroppo è proprio da qui che talvolta comincia la lunghissima via della disinformazione.

Incuriosisce molto l’esperimento fatto nel 2009 da un ragazzo irlandese, Shane Fitzgerald, ed in seguito riprodotto dall’italiano Daniele Virgillito, nel quale citazioni false aggiunte alla pagine di personaggi famosi vengono riprese in telegiornali nazionali, su giornali, siti e riviste. Potremmo dire che è una cosa normale non sapere tutte le citazioni pronunciate da uno scrittore, un giornalista, un politico… ma è normale la fiducia spropositata data dai media a Wikipedia?

Altro grande interrogativo su notizie più o meno vere riguarda quasi tutti gli argomenti di ambito scientifico (virus, scie chimiche, pianeti, universo, terremoti, stamina, etc.), che subiscono un vero e proprio stravolgimento di notizie grazie alla diffusione da siti sconosciuti, di nicchia, fino ai grandi dell’informazione… ai vip creduloni!

Infatti, giusto oggi, il noto cantante de “i bambini fanno oh” e dei piccioni scrive sulla propria pagina fb:

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Purtroppo chi vive costantemente nel mondo della scienza sente queste cose all’ordine del giorno, però possiamo dire che se ognuno di noi prima di condividere una notizia, un’idea o un pensiero controllasse almeno su 3 fonti differenti aventi spiegazioni specifiche dell’evento (e non gridasse subito al “gombloddo”, come scrive Povia), magari integrando con un libro/enciclopedia (di quelle cartacee) il mondo sarebbe un po’ più informato anche se un po’ meno fantasioso.

Quando un esperimento diventa più immorale di un insulto: prime considerazioni sulla sperimentazione animale.

Da tempo volevo informarmi meglio sul tema della sperimentazione animale per costruire un pensiero solido e poi esporre le mie idee. E stamattina ne ho avuta l’occasione: dopo aver visto la ormai famosa foto di Caterina, la ragazza insultata sul web perché “ha 25 anni grazie alla vera ricerca, che include anche la sperimentazione animale” non ho potuto far altro che leggere le varie opinioni e a ricercarne le verità e le menzogne.

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Intanto ritengo sia indispensabile da prima fare una distinzione che molto spesso animalisti e fanatici sostenitori di No-vivisection non fanno: vivisezione e sperimentazione animale non sono la stessa cosa.

Infatti, la vivisezione, pratica utilizzata fino al 1700-1800, consiste nella dissezione (tagliare a pezzi) animali vivi e coscienti. Oggi questa pratica è assolutamente vietata dalle leggi internazionali per la tutela degli animali, ma il termine viene ancora utilizzato dai media, dai documentari politici e dai contestatori

La sperimentazione animale invece, è una pratica utilizzata per studio e ricerca che va dall’osservazione dell’animale al suo utilizzo per osservarne caratteristiche biologiche, il tutto rigorosamente sotto anestesia. Questo tipo di sperimentazione è usato per obiettivi riguardanti farmacologia, fisiologia, fisiopatologia, medicina biomedica e ricerche biologiche ma anche per cosmesi. In passato ha portato alla conoscenza di gran parte della genetica, degli studi comportamentali, test tossicologici (ecc. ) e viene tutt’ora ritenuta fondamentale dalla maggioranza della comunità scientifica poiché anche i computer più sofisticati non sono in grado di riprodurre interazioni tra le cellule, tra gli organi e tra le molecole.

Sebbene oggi la sperimentazione animale sia criticata da associazioni come il PETA, BUAV, LAV è innegabile il fatto che essa sia stata fondamentale nella conoscenza più accurata di parti molto importanti del nostro organismo (vd. ad esempio funzioni vitali, muscolari, sangue, polmoni, fegato, nervi…) e nella cura della maggior parte degli attuali mali: si possa notare che la teoria dei germi è stata formulata dopo la somministrazione di antrace a pecore, il riflesso condizionato e l’uso dell’insulina grazie agli studi sui cani, gli antibotici multi-farmaco grazie ad esperimenti su armadilli e la prima clonazione da cellula adulta è avvenuta sulla celeberrima pecora Dolly. E come non ricordare tutti quei premi nobel della medicina che nell’ultimo secolo hanno fatto uso della suddetta pratica nel corso dei loro studi? Uno per tutti la nostra connazionale e tanto stimata Rita Levi Montalcini, alla quale venne assegnato il premio nel 1986 per la scoperta del fattore di accrescimento della fibra nervosa (NGF). Ma anche altre scoperte molto significative avvennero grazie ad esperimenti su animali di laboratorio, come l’uso della penicillina, informazioni sofisticate sul sistema immunitario e sulle infezioni, cure contro la febbre gialla, il tifo, la poliomielite, la cura attraverso chemioterapia, la possibilità  del trapianto di organi e l’utilizzo di cellule staminali embrionali. Scoperte che senza dubbio ci hanno permesso di vivere meglio e più a lungo.

In questo lungo (ma neanche troppo) intervento ho cercato di far capire perchè sostengo tutt’ora la sperimentazione animale e perchè a differenza di molti amanti degli animali io non la trovi una pratica “assolutamente crudele ed immorale”. Credo che la vita di un topino di laboratorio possa valere almeno quando quella di un bambino o di un adulto salvato da una malattia rara o dal cancro . Almeno questo è il mio modesto parere.

Infine, se credete ancora chele vite sacrificate per la ricerca siano comunque troppe, pensate che nel Regno Unito vi sono 5 milioni di gatti: ognuno uccide ogni anno, di solito torturandoli, 7 animaletti. Ogni anno i possessori di gatti sono responsabili quindi dell’assassinio di 35 milioni di “creature senzienti”. Se dovessimo usare lo stesso ragionamento dell’immoralità dovremmo intanto sostituire  i gatti con gentili coniglietti ed in secondo luogo, per ritornare a monte del discorso, condannare penalmente gli autori degli innumerevoli insulti e degli auguri di morte fatti a Caterina, poichè a me (e spero anche ad altri) non sembrano tanto più civili di una sperimentazione frasi del tipo “per me puoi morire pure domani. Non sacrificherei nemmeno il mio pesce rosso per te” o “Magari fosse morta a 9 anni, un essere vivente di m…in meno e più animali su questo pianeta”. Ma d’altra parte si sa, come dice il vicedirettore de La Stampa Gramellini, “i sentimenti, come l’architettura, sono questioni di prospettiva” e allora io continuerò a vivere da una prospettiva diversa da quelli che continueranno a difendere una vita animale a spada tratta.

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Lavinia

Quella scheggia di Babbo Natale: riflessioni fisiche a posteriori.

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Alla fine nella serata del 24 Dicembre ogni bambino pensa solo ad andare presto a dormire per poi alzarsi presto la mattina e trovare l’albero sommerso di regali grandi (si, soprattutto grandi) e piccoli, portati nella notte dal buon omone con il vestito rosso. I grandi, invece, sono impegnati nel durissimo compito di riempire quell’albero prima del 25, possibilmente senza farsi scoprire dai piccoli!
Morale della favola: sia i bambini (ampiamente scusati) che gli adulti si sono mai chiesti a quale velocità dovrebbe andare il povero vecchio per consegnare a tutti i bambini del mondo i regali che desiderano in quella notte?

Facendo un rapido conto Babbo Natale dovrebbe percorrere con la sua slitta circa 160 milioni di chilometri (più della distanza terra -sole !!) per render felici tutti i bambini sparpagliati su un’area di 3×10^13 (30 000 000 000 000) metri quadrati. Il tutto in una notte di 34 ore grazie ai fusi orari del nostro pianeta. Una notte che a noi sembrerebbe infinita ma che di sicuro è corta per il nostro eroe, che per riuscire nell’impresa dovrebbe andare ad una velocità media di 4 705 882 km/h! Sempre meno della velocità della luce, ma abbastanza da poter far volatilizzare il vecchio dalla barba bianca per l’impatto con l’atmosfera.

Sarà la sua slitta con le renne magiche a salvarlo ogni anno o la bottiglia di Coca Cola che usava sfoggiare qualche anno fa’?

Lavinia

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Discorso di David Foster Wallace (cerimonia delle lauree al Kenyon college, 21 maggio 2005)

E’ da un po’ di tempo che non scrivo qui, ma oggi credo di aver la giusta motivazione per farlo. Questo discorso mi è stato allegato agli auguri di Natale da un amico e anche se sono in ritardo per quel tipo di auguri (e sono molto in anticipo per quelli di Buon Anno) ve lo ripropongo sotto insieme al video (quello linkato è solo la prima parte, c’è la seconda nei consigliati da youtube) e ne consiglio la visione a tutti perchè credo che una cosa simile dovrebbe esser riproposta almeno una volta all’anno in un liceo in quanto stimolante ed estremamente educativo. Da un motivo in più per studiare.
Vi invito a lasciarmi commenti al fondo perchè mi piacerebbe conoscere pareri a riguardo.
Con affetto ed i migliori auguri,

Lavinia.

“Un saluto a tutti e le mie congratulazioni alla classe 2005 dei laureati del Kenyon college. Ci sono due giovani pesci che nuotano uno vicino all’altro e incontrano un pesce più anziano che, nuotando in direzione opposta, fa loro un cenno di saluto e poi dice “Buongiorno ragazzi. Com’è l’acqua?” I due giovani pesci continuano a nuotare per un po’, e poi uno dei due guarda l’altro e gli chiede “ma cosa diavolo è l’acqua?”
È una caratteristica comune ai discorsi nelle cerimonie di consegna dei diplomi negli Stati Uniti di presentare delle storielle in forma di piccoli apologhi istruttivi. La storia è forse una delle migliori, tra le meno stupidamente convenzionali nel genere, ma se vi state preoccupando che io pensi di presentarmi qui come il vecchio pesce saggio, spiegando cosa sia l’acqua a voi giovani pesci, beh, vi prego, non fatelo. Non sono il vecchio pesce saggio. Il succo della storia dei pesci è solamente che spesso le più ovvie e importanti realtà sono quelle più difficili da vedere e di cui parlare. Espresso in linguaggio ordinario, naturalmente diventa subito un banale luogo comune, ma il fatto è che nella trincea quotidiana in cui si svolge l’esistenza degli adulti, i banali luoghi comuni possono essere questioni di vita o di morte, o meglio, è questo ciò che vorrei cercare di farvi capire in questa piacevole mattinata di sole.

Chiaramente, l’esigenza principale in discorsi come questo è che si suppone vi parli del significato dell vostra educazione umanistica, e provi a spiegarvi perché il diploma che state per ricevere ha un effettivo valore sul piano umano e non soltanto su quello puramente materiale. Per questo, lasciatemi esaminare il più diffuso stereotipo nei discorsi fatti a questo tipo di cerimonie, ossia che che la vostra educazione umanistica non consista tanto “nel fornirvi delle conoscenze”, quanto “nell’insegnarvi a pensare”.

Se siete come me quando ero studente, non vi sarà mai piaciuto ascoltare questo genere di cose, e avrete tendenza a sentirvi un po’ insultati dall’affermazione che dobbiate aver bisogno di qualcuno per insegnarvi a pensare, poiché il fatto stesso che siete stati ammessi a frequentare un college così prestigioso vi sembra una dimostrazione del fatto che già sapete pensare. Ma vorrei convincervi che lo stereotipo dell’educazione umanistica in realtà non è per nulla offensivo, perché la vera educazione a pensare, che si pensa si debba riuscire ad avere in un posto come questo, non riguarda affatto la capacità di pensare, ma piuttosto la scelta di cosa pensare. Se la vostra assoluta libertà di scelta su cosa pensare vi sembrasse troppo ovvia per perdere del tempo a discuterne, allora vorrei chiedervi di pensare al pesce e all’acqua, e a mettere tra parentesi anche solo per pochi minuti il vostro scetticismo circa il valore di ciò che è completamente ovvio.

Ecco un’altra piccola storia istruttiva. Ci sono due tizi che siedono insieme al bar in un posto sperduto e selvaggio in Alaska. Uno dei due tizi è credente, l’altro è ateo, e stanno discutendo sull’esistenza di Dio, con quell’intensità particolare che si stabilisce più o meno dopo la quarta birra. E l’ateo dice: “Guarda, non è che non abbia ragioni per non credere. Ho avuto anche io a che fare con quella roba di Dio e della preghiera. Proprio un mese fa mi sono trovato lontano dal campo in una terribile tormenta, e mi ero completamente perso e non riuscivo a vedere nulla, e facevano 45 gradi sotto zero, e così ho provato: mi sono buttato in ginocchio nella neve e ho urlato ‘Oh Dio, se c’è un Dio, mi sono perso nella tormenta, e morirò tra poco se tu non mi aiuterai’.” E a questo punto, nel bar, il credente guarda l’ateo con aria perplessa “Bene, allora adesso dovrai credere” dice, “sei o non sei ancora vivo?” E l’ateo, alzando gli occhi al cielo “Ma no, è successo invece che una coppia di eschimesi, che passava di lì per caso, mi ha indicato la strada per tornare al campo.”

È facile interpretare questa storiella con gli strumenti tipici dell’analisi umanistica: la stessa precisa esperienza può avere due significati totalmente diversi per due persone diverse, avendo queste persone due diversi sistemi di credenze e due diversi modi di ricostruire il significato dall’esperienza. Poiché siamo convinti del valore della tollerenza e della varietà delle convinzioni, in nessun modo la nostra analisi umanistica vorrà affermare che l’interpretazione di uno dei due tizi sia giusta a quella dell’altro falsa o cattiva. E questo va anche bene, tranne per il fatto che in questo modo non si riesce mai a discutere da dove abbiano origine questi schemi e credenze individuali. Voglio dire, da dove essi vengano dall’INTERNO dei due tizi. Come se l’orientamento fondamentale verso il mondo di una persona e il significato della sua esperienza fossero in qualche modo intrinseci e difficilmente modificabili, come l’altezza o il numero di scarpe, o automaticamente assorbiti dal contesto culturale, come il linguaggio. Come se il modo in cui noi costruiamo il significato non fosse in realtà un fatto personale, frutto di una scelta intenzionale. Inoltre, c’è anche il problema dell’arroganza. Il tizio non credente è totalmente certo nel suo rifiuto della possibilità che il passaggio degli eschimesi abbia qualche cosa a che fare con la sua preghiera. Certo, ci sono un sacco di credenti che appaiono arroganti e anche alcune delle loro interpretazioni. E sono probabilmente anche peggio degli atei, almeno per molti di noi. Ma il problema del credente dogmatico è esattamente uguale a quello del non credente: una certezza cieca, una mentalità chiusa che equivale a un imprigionamento così totale che il prigioniero non si accorge nemmeno di essere rinchiuso.

Il punto che vorrei sottolineare qui è che credo che questo sia una parte di ciò che vuole realmente significare insegnarmi a pensare. A essere un po’ meno arrogante. Ad avere anche solo un po’ di coscienza critica su di me e le mie certezze. Perché una larga percentuale di cose sulle quali tendo a essere automaticamente certo risulta essere totalmente sbagliata e deludente. Ho imparato questo da solo e a mie spese, e così immagino sarà per voi una volta laureati.

Ecco un esempio della totale falsità di qualche cosa su cui tendo ad essere automaticamente sicuro: nella mia esperienza immediata, tutto tende a confermare la mia profonda convinzione che io sia il centro assoluto dell’universo, la più reale e vivida e importante persona che esista. Raramente pensiamo a questa specie di naturale, fondamentale egocentrismo, perché è qualche cosa di socialmente odioso. Ma in effetti è lo stesso per tutti noi. È la nostra configurazione di base, codificata nei nostri circuiti fin dalla nascita. Pensateci: non c’è nessuna esperienza che abbiate fatto di cui non ne siate il centro assoluto. Il mondo, così come voi lo conoscete, è lì davanti a VOI o dietro di VOI, o alla VOSTRA sinistra o alla VOSTRA destra, sulla VOSTRA TV o sul VOSTRO schermo. E così via. I pensieri e i sentimenti delle altre persone devono esservi comunicati in qualche modo, ma i vostri sono così immediati, urgenti, reali.

Adesso vi prego di non pensare che io voglia farvi una lezione sulla compassione o la sincerità o altre cosiddette “virtù”. Il problema non è la virtù. Il problema è di scegliere di fare il lavoro di adattarsi e affrancarsi dalla configurazione di base, naturale e codificata in noi, che ci fa essere profondamente e letteralmente centrati su noi stessi, e ci fa vedere e interpretare ogni cosa attraverso questa lente del sé. Le persone che riescono ad adattare la loro configurazione di base sono spesso descritti come “ben adattati”, che credo non sia un termine casuale.
Considerando la trionfale cornice accademica in cui siamo, viene spontaneo porsi il problema di quanto di questo lavoro di autoregolazione della nostra configurazione di base coinvolga conoscenze effettive e il nostro stesso intelletto. Questo problema è veramente molto complicato. Probabilmente la più pericolosa conseguenza di un’educazione accademica, almeno nel mio caso, è che ha permesso di svilupparmi verso della roba super-intellettualizzata, di perdermi in argomenti astratti dentro la mia testa e, invece di fare semplicemente attenzione a ciò che mi capita sotto al naso, fare solo attenzione a ciò che capita dentro di me.
Come saprete già da un pezzo, è molto difficile rimanere consapevoli e attenti, invece di lasciarsi ipnotizzare dal monologo costante all’interno della vostra testa (potrebbe anche stare succedendo in questo momento). Vent’anni dopo essermi laureato, sono riuscito lentamente a capire che lo stereotipo dell’educazione umanistica che vi “insegna a pensare” è in realtà solo un modo sintentico per esprimere un’idea molto piu significativa e profonda: “imparare a pensare” vuol dire in effetti imparare a esercitare un qualche controllo su come e cosa pensi. Significa anche essere abbastanza consapevoli e coscienti per scegliere a cosa prestare attenzione e come dare un senso all’esperienza. Perché, se non potrete esercitare questo tipo di scelta nella vostra vita adulta, allora sarete veramente nei guai. Pensate al vecchio luogo comune della “mente come ottimo servitore, ma pessimo padrone”. Questo, come molti luoghi comuni, così inadeguati e poco entusiasmanti in superficie, in realtà esprime una grande e terribile verità. Non a caso gli adulti che si suicidano con armi da fuoco quasi sempre si sparano alla testa. Sparano al loro pessimo padrone. E la verità è che molte di queste persone sono in effetti già morte molto prima di aver premuto il grilletto.

E vi dico anche quale dovrebbe essere l’obiettivo reale su cui si dovrebbe fondare la vostra educazione umanistica: come evitare di passare la vostra confortevole, prosperosa, rispettabile vita adulta, come dei morti, incoscienti, schiavi delle vostre teste e della vostra solita configurazione di base per cui “in ogni momento” siete unicamente, completamente, imperiosamente soli. Questo potrebbe suonarvi come un’iperbole o un’astrazione senza senso. Cerchiamo di essere concreti. Il fatto puro e semplice è che voi laureati non avete ancora nessun’idea di cosa “in ogni momento” significhi veramente. Questo perché nessuno parla mai, in queste cerimonie delle lauree, di una grossa parte della vita adulta americana. Questa parte include la noia, la routine e la meschina frustrazione. I genitori e i più anziani tra di voi sapranno anche troppo bene di cosa sto parlando.

Tanto per fare un esempio, prendiamo una tipica giornata da adulto, e voi che vi svegliate la mattina, andate al vostro impegnativo lavoro da colletto-bianco-laureato-all’università, e lavorate duro per otto o dieci ore, fino a che, alla fine della giornata, siete stanchi e anche un po’ stressati e tutto ciò che vorreste sarebbe di tornarvene casa, godervi una bella cenetta e forse rilassarvi un po’ per un’oretta, per poi ficcarvi presto nel vostro letto perché, evidentemente, dovrete svegliarvi presto il giorno dopo per ricominciare tutto da capo. Ma, a questo punto, vi ricordate che non avete nulla da mangiare a casa. Non avete avuto tempo di fare la spesa questa settimana a causa del vostro lavoro così impegnativo, per cui, uscendo dal lavoro, dovete mettervi in macchina e guidare fino al supermercato. È l’ora di punta e il traffico è parecchio intenso. Per cui per arrivare al supermercato ci mettete moltissimo tempo, e quando finalmente arrivate, lo trovate pieno di gente, perché naturalmente è proprio il momento del giorno in cui tutti quelli che lavorano come voi cercano di sgusciare in qualche negozio di alimentari. E il supermercato è disgustosamente illuminato e riempito con della musica di sottofondo abbrutente o del pop commerciale, ed è proprio l’ultimo posto in cui vorreste essere, ma non potete entrare e uscire rapidamente, vi tocca vagare su e giù tra le corsie caotiche di questo enorme negozio super-illuminato per trovare la roba che volete e dovete manovrare con il vostro carrello scassato nel mezzo delle altre persone, anche loro stanche e di fretta come voi, con i loro carrelli (eccetera, eccetera, ci dò un taglio poiché è una cerimonia piuttosto lunga) e alla fine riuscite a raccogliere tutti gli ingredienti della vostra cena, e scoprite che non ci sono abbastanza casse aperte per pagare, anche se è l’ora-di-punta-di-fine-giornata. Cosi la fila per pagare è incredibilmente lunga, che è una cosa stupida e che vi fa arrabbiare. Ma voi non potete sfogare la vostra frustrazione sulla povera signorina tutta agitata alla cassa, che è superstressata da un lavoro la cui noia quotidiana e insensatezza supera l’immaginazione di ognuno di noi qui in questa prestigiosa Università.

Ma in ogni modo, finalmente arrivate in fondo a questa fila, pagate per il vostro cibo, e vi viene detto “buona giornata” con una voce che è proprio la voce dell’oltretomba. Quindi dovete portare quelle orrende, sottili buste di plastica del supermercato nel vostro carrello con una ruota impazzita che spinge in modo esasperante verso sinistra, di nuovo attraverso il parcheggio affollato, pieno di buche e di rifiuti, e guidare verso casa di nuovo attraverso il traffico dell’ora di punta, lento, intenso, pieno di SUV, ecc.

A tutti noi questo è capitato, certamente. Ma non è ancora diventato parte della routine della vostra vita effettiva di laureati, giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, anno dopo anno. Ma lo sarà. E inoltre ci saranno tante altre routine apparentemente insignificanti, noiose e fastidiose. Ma non è questo il punto. Il punto è che è proprio con stronzate meschine e frustranti come questa che interviene la possibilità di scelta. Perché il traffico e le corsie affollate del supermercato e la lunga coda alla cassa mi danno il tempo di pensare, e se io non decido in modo meditato su come pensare e a cosa prestare attenzione, sarò incazzato e infelice ogni volta che andrò a fare la spesa. Perché la mia naturale configurazione di base è la certezza che situazioni come questa riguardino solo me. La MIA fame e la MIA stanchezza e il MIO desiderio di andarmene a casa, e mi sembrerà che ogni altra persona al mondo stia lì ad ostacolarmi. E chi sono poi queste persone che mi ostacolano? E guardate come molti di loro sono repellenti, e come sembrano stupidi e bovini e con gli occhi spenti e non-umani nella coda alla cassa, o anche come è fastidioso e volgare che le persone stiano tutto il tempo a urlare nei loro cellulari mentre sono nel mezzo della fila. E guardate quanto tutto ciò sia profondamente e personalmente ingiusto.

Oppure, se la mia configurazione di base è più vicina alla coscienza sociale e umanistica, posso passare un bel po’ di tempo nel traffico di fine giornata a essere disgustato da tutti quei grossi, stupidi SUV e Hummers e furgoni con motori a 12 valvole, che bloccano la strada e consumano il loro costoso, egoistico serbatoio da 40 galloni di benzina, e posso anche soffermarmi sul fatto che gli adesivi patriottici e religiosi sembrano essere sempre sui veicoli più grandi e più disgustosamente egoisti, guidati dai più brutti, più incoscienti e aggressivi dei guidatori. (Attenzione, questo è un esempio di come NON bisogna pensare…) E posso pensare che i figli dei nostri figli ci disprezzeranno per aver sprecato tutto il carburante del futuro e avere probabilmente fottuto il clima, e che noi tutti siamo viziati e stupidi ed egoisti e ripugnanti, e che la moderna civiltà dei consumi faccia proprio schifo, e così via.

Avete capito l’idea.

Se scelgo di pensare in questo modo in un supermercato o sulla superstrada, va bene. Un sacco di noi lo fanno. Tranne che il fatto di pensare in questo modo diventa nel tempo così facile e automatico che non è più nemmeno una vera scelta. Diventa la mia configurazione di base. È questa la modalità automatica in cui vivo le parti noiose, frustranti, affollate della mia vita da adulto, quando sto operando all’interno della convinzione automatica e inconscia di essere il centro del mondo, e che i miei bisogni e i miei sentimenti prossimi sono ciò che determina le priorità del mondo intero.

In realtà, naturalmente, ci sono molti modi diversi di pensare in questo tipo di situazioni. Nel traffico, con tutte queste macchine ferme e immobili davanti a me, non è impossibile che una delle persone nei SUV abbia avuto un orribile incidente d’auto nel passato, e adesso sia cosi terrorizzata dal guidare che il suo terapista le ha ordinato di prendere un grosso e pesante SUV, così che possa sentirsi abbastanza sicura quando guida. O che quell’Hummer che mi ha appena tagliato la strada sia forse guidato da un padre il cui figlio piccolo è ferito o malato nel sedile accanto a lui, e stia cercando di portarlo in ospedale, ed abbia quindi leggitimamente molto più fretta di me: in effetti sono io che blocco la SUA strada.

Oppure posso sforzarmi di considerare la possibilità che tutti gli altri nella fila alla cassa del supermercato siano stanchi e frustrati come lo sono io, e che alcune di queste persone probabilmente abbiano una vita molto più dura, noiosa e dolorosa della mia.

Di nuovo, vi prego di non pensare che vi stia dando dei consigli morali, o vi stia dicendo che dovreste pensare in questo modo, o che qualcuno si aspetta da voi che lo facciate. Perché è difficile. Richiede volontà e fatica, e se voi siete come me, in certi giorni non sarete capaci di farlo, o più semplicemente non ne avrete voglia.

Ma molte altre volte, se sarete abbastanza coscienti da darvi la possibilità di scegliere, voi potrete scegliere di guardare in un altro modo a questa grassa signora super-truccata e con gli occhi spenti che ha appena sgridato il suo bambino nella coda alla cassa. Forse non è sempre così. Forse è stata sveglia per tre notti di seguito tenendo la mano del marito che sta morendo di un cancro alle ossa. O forse questa signora è l’impiegata meno pagata della motorizzazione, che proprio ieri ha aiutato vostra moglie a risolvere un orribile e snervante problema burocratico con alcuni piccoli atti di gentilezza amministrativa.

Va bene, nessuno di questi casi è molto probabile, ma non è nemmeno completamente impossibile. Dipende da cosa volete considerare. Se siete automaticamente sicuri di sapere cos’è la realtà, e state operando sulla base della vostra configurazione di base, allora voi, come me, probabilmente non avrete voglia di considerare possibilità che non siano fastidiose e deprimenti. Ma se imparate realmente a concentrarvi, allora saprete che ci sono altre opzioni possibili. Avrete il potere di vivere una lenta, calda, affollata esperienza da inferno del consumatore, e renderla non soltanto significativa, ma anche sacra, ispirata dalle stesse forze che formano le stelle: amore, amicizia, la mistica unità di tutte le cose fuse insieme. Non che la roba mistica sia necessariamente vera. La sola cosa che è Vera con la V maiuscola è che sta a voi decidere di vederlo o meno.

Questa, credo, sia la libertà data da una vera educazione, di poter imparare ad essere “ben adattati”. Voi potrete decidere con coscienza che cosa ha significato e che cosa non lo ha. Potrete scegliere in cosa volete credere. Ed ecco un’altra cosa che può sembrare strana, ma che è vera: nella trincea quotidiana in cui si svolge l’esistenza degli adulti non c’è posto per una cosa come l’ateismo. Non è possibile non adorare qualche cosa. Tutti credono. La sola scelta che abbiamo è su che cosa adorare. E forse la più convincente ragione per scegliere qualche sorta di dio o una cosa di tipo spirituale da adorare – sia essa Gesù Cristo o Allah, sia che abbiate fede in Geova o nella Santa Madre Wicca, o nelle Quattro Nobili Verità, o in qualche inviolabile insieme di principi etici – è che praticamente qualsiasi altra cosa in cui crederete finirà per mangiarvi vivo. Se adorerete il denaro o le cose, se a queste cose affiderete il vero significato della vita, allora vi sembrerà di non averne mai abbastanza. È questa la verità. Adorate il vostro corpo e la bellezza e l’attrazione sessuale e vi sentirete sempre brutti. E quando i segni del tempo e dell’età si cominceranno a mostrare, voi morirete un milione di volte prima che abbiano ragione di voi. Ad un certo livello tutti sanno queste cose. Sono state codificate in miti, proverbi, luoghi comuni, epigrammi, parabole, sono la struttura di ogni grande racconto. Il trucco sta tutto nel tenere ben presente questa verità nella coscienza quotidiana.
Adorate il potere, e finirete per sentirvi deboli e impauriti, e avrete bisogno di avere sempre più potere sugli altri per rendervi insensibili alle vostre proprie paure. Adorate il vostro intelletto, cercate di essere considerati intelligenti, e finirete per sentirvi stupidi, degli impostori, sempre sul punto di essere scoperti. Ma la cosa insidiosa di queste forme di adorazione non è che siano cattive o peccaminose, è che sono inconsce. Sono la configurazione di base.

Sono forme di adorazione in cui scivolate lentamente, giorno dopo giorno, diventando sempre più selettivi su quello che volete vedere e su come lo valutate, senza essere mai pienamente consci di quello che state facendo.

E il cosiddetto “mondo reale” non vi scoraggerà dall’operare con la configurazione di base, poiché il cosiddetto “mondo reale” degli uomini e del denaro e del potere canticchia allegramente sul bordo di una pozza di paura e rabbia e frustrazione e desiderio e adorazione di sé. La cultura contemporanea ha imbrigliato queste forze in modo da produrre una ricchezza straordinaria e comodità e libertà personale. La libertà di essere tutti dei signori di minuscoli regni grandi come il nostro cranio, soli al centro del creato. Questo tipo di libertà ha molti lati positivi. Ma naturalmente vi sono molti altri tipi di libertà, e del tipo che è il più prezioso di tutti, voi non sentirete proprio parlare nel grande mondo esterno del volere, dell’ottenere e del mostrarsi. La libertà del tipo più importante richiede attenzione e consapevolezza e disciplina, e di essere veramente capaci di interessarsi ad altre persone e a sacrificarsi per loro più e più volte ogni giorno in una miriade di modi insignificani e poco attraenti.

Questa è la vera libertà. Questo è essere istruiti e capire come si pensa. L’alternativa è l’incoscienza, la configurazione di base, la corsa al successo, il senso costante e lancinante di aver avuto, e perso, qualcosa di infinito.

Lo so che questa roba probabilmente non vi sembrerà molto divertente o ispirata, come un discorso per questo di genere di cerimonie dovrebbe sembrare. In questo consiste però, per come la vedo io, la Verità con la V maiuscola, scrostata da un sacco di stronzate retoriche. Certamente, siete liberi di pensare quello che volete di tutto questo. Ma per favore non scartatelo come se fosse una sermone ammonitorio alla Dr. Laura. Niente di questa roba è sulla morale o la religione o il dogma o sul grande problema della vita dopo la morte. La Verità con la V maiuscola è sulla vita PRIMA della morte. È sul valore reale di una vera istruzione, che non ha quasi nulla a che spartire con la conoscenza e molto a che fare con la semplice consapevolezza, consapevolezza di cosa è reale ed essenziale, ben nascosto, ma in piena vista davanti a noi, in ogni momento, per cui non dobbiamo smettere di ricordarci più e più volte: “Questa è acqua, questa è acqua.”

È straordinariamente difficile da fare, rimanere coscienti e consapevoli nel mondo adulto, in ogni momento. Questo vuol dire che anche un altro dei grandi luoghi comuni finisce per rivelarsi vero: la vostra educazione è realmente un lavoro che dura tutta la vita. E comincia ora.

Auguro a tutti una grossa dose di fortuna.”

I robot ti ruberanno il lavoro, ma va bene così

Inizialmente ho lanciato il video con una curiosità un po’ critica, ma ho dovuto ricredermi. La conferenza di presentazione del libro “I robot ti ruberanno il lavoro, ma va bene così” di Federico Pistono, ragazzo ventottenne originario di Biella, ormai famoso per le sue esperienze compiute alla sua giovane età (tra cui quella alla Nasa Ames Research Centre), cerca di evidenziare i punti più critici della convivenza tra uomo e tecnologia. Federico, infatti, comincia citando tutti quei lavori che nel futuro saranno sottoposti ad un repentino cambiamento tecnologico, come ad esempio i lavori nel settore trasporti, nel settore della casa, pulizie e gestione di bambini/anziani, settori bancari, giornalismo…
Ecco, il pubblico è composto dal 70% di giornalisti.
“I robot vi ruberanno il lavoro”, dice Pistono, e la gente ride. Immagine piuttosto triste se ci pensate, ma lo è ancora di più se si pensa che la società odierna ha lavorato da tempo affinchè questo avvenisse.
Se una volta le foto si facevano grazie alle macchine fotografiche a rullini (della Kodak in particolare) e soprattutto grazie al fotografo ora, da qualche tempo a questa parte, la maggior parte delle fotografie è scattata da cellulari o altri apparecchi direttamente dai loro proprietari che in seguito si servono di applicazioni innovative, come Instagram, per ritoccare alcuni particolari. Ecco che il lavoro di alcuni gruppi di lavoratori, in questo caso i fotografi professionisti viene a mancare.
Questo tipo di evento, però, s può solo considerare in modo negativo?
Quali vantaggi ci sarebbero se le auto venissero guidate automaticamente?
E se i macchinari industriali fossero robotizzati?
Federico poi si incentra su un altro punto fondamentale: secondo le statistiche, l’80% delle persone odia il proprio lavoro. Sorge quindi spontaneo pensare ad un paradosso: “lavoriamo a progetti lunghi, stancanti e che non ci piacciono, compriamo cose che non ci servono necessariamente e tutto questo per impressionare persone che talvolta non ci piacciono”. Si conclude quindi che la finalità della vita, quella vera, non è questa; Forse sarebbe meglio far si che i robot facessero il lavoro per noi!
Si pone il problema che produrre per consumare sempre più non sia la soluzione ma che bisognerebbe invece distruggere il sistema politico economico che ci ha portati a pensare che, per vivere in modo dignitoso, ognuno debba guadagnarsi da vivere. Ci viene insegnato fin dalle scuole elementari e continuando con questo ragionamento, dice Pistono, neanche il crearsi nuovi lavori ci può salvare.
Per vivere ora ci vuole un piano, il quale comprende tante persone con piani diversi individuali: se lo sviluppo tecnologico, considerando le risorse finite, insieme alle nostre esigenze infinite ci può portare solo a maggiore disoccupazione di massa, cambiamenti climatici, violenza e agitazione generale (…), esso con open-source, fai-da-te e auto-sostentamento ci può portare a risultati come maggiore tempo libero, soddisfazione personale, bilanciamento di risorse mondiali e recupero del sistema!
Ovviamente questa potrebbe esser soltanto un’utopia di qualche sostenitore dell’avanzamento tecnologico, ma facendo qualche calcolo l’obiettivo potrebbe esser molto più vicino di quanto si pensa.
Federico conclude il suo discorso dicendo: “perchè combattere una battaglia persa da soli quando ci potrebbe esser la possibilità di vincerla con i robot?”.

Io credo che l’introduzione sempre più repentina di sistemi tecnologici nei vari settori, ovviamente sempre in modo controllato, non può che migliorare le nostre condizioni di vita, sia perchè, come dice Pistono, avremmo molto più tempo da dedicare a ciò che ci piace, alle persone, al sapere (…) sia perchè migliorebbe cose come la qualità del prodotto, il tempo impiegato e ridurrebbe i tempi di attesa per un certo servizio/ una produzione (…).
E’ sempre bene riflettere sugli aspetti positivi e negativi degli eventi e, se vi interessa l’opinione di un “ragazzo prodigio”, allora buona lettura.

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Lavinia